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Corriere della Sera: La maggioranza dei giovani vuole avere figli: un nuovo studio Istat riaccende le speranze sulla fine dell'inverno demografico.

L’inverno demografico che ha colpito il nostro Paese, confermato dall’ennesimo record negativo di nascite (379.000 nascite, report Istat 2023), mostra un tiepido segnale di ripresa. Una nuova indagine Istat sui ragazzi tra gli 11 e 19 anni ha evidenziato che il 69% dei giovani vuole dei figli e il 76,9% vorrebbe sposarsi prima dei 30 anni. «Un dato che conferma quanto rileviamo da tempo nel nostro Rapporto Giovani – spiega Alessandro Rosina professore di Demografia e Statistica sociale nella Facoltà di Economia dell’Università Cattolica di Milano e Coordinatore scientifico dell’Osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo ­-. La direzione è ormai questa da qualche anno: la maggior parte dei ragazzi vede nel proprio futuro dei figli e si allarga anche la fascia degli incerti. Questi dati ci mostrano che si facessero le politiche giuste, a sostegno dei desideri dei ragazzi, la curva demografica potrebbe risalire. Quello che accade oggi, invece, è che i ragazzi accantonano i loro desideri o li posticipano, in attesa di tempi migliori, fino poi a essere costretti a rinunciarvi».

 Possiamo dire che i ragazzi accantonano i loro desideri, scoraggiati da un’idea complessa e incerta di futuro?

«Intorno ai 16 anni, in piena adolescenza, i ragazzi si interrogano sul futuro, su chi vogliono diventare, su quali opportunità cogliere. Se riusciamo a sostenerli un ambiente che li ascolti e li valorizzi, potremmo aiutarli a ridurre l’incertezza di questi tempi complessi tra guerre, “eco ansia”, incognite sul lavoro e sul futuro in generale. I nostri ragazzi, invece, sono abituati a rivedere verso il basso le loro prospettive perché non possono sperimentare quello vorrebbero, e nel modo che desidererebbero, e questo li rende fragili e fa sentire impotenti, vittime di un destino che subiscono passivamente», continua Rosina.

Quali strategie per dare fiducia ai giovani?

«Dai nostri dati emerge che 1 giovane su 4 mostra una fragilità almeno su due dimensioni (incertezza sociale, economica, ambientale…), causate da un mondo complesso che non riescono a interpretare e su cui non trovano il proprio spazio. Laddove, però, la famiglia, la scuola, la società riescono a offrire un contesto supportivo, ovvero ambienti dove i ragazzi possono mettersi alla prova, sperimentare liberamente, sbagliare e riprovare, si sentono più fiduciosi nelle proprie capacità e guardano al futuro con la voglia di costruire e migliorarsi. Una partita importante la giocheremo nei prossimi anni sul fronte digitale. Se diventa uno strumento da utilizzare insieme, anche a scuola, può aiutare nella crescita, a patto di farsi guidare dai ragazzi, stimolandoli a utilizzare le potenzialità del digitale per fini costruttivi. Prima di tutto, però, occorre rendere più attrattivo il mondo offline, offrendo ai giovani luoghi e occasioni per incontri reali che favoriscano le relazioni, che poi è quello che qualsiasi adolescente, di ogni generazione, desidera di più», conclude Rosina.

Da un punto di vista psichiatrico, quanto conta crescere in una società dove il pensiero diffuso è che il futuro sia incerto e senza speranza?

«Occorre innanzitutto pensare che il nostro cervello è in una continua condizione di adattamento, è plastico e tende a ridurre le sorprese e gli errori di previsione ­- spiega Claudio Mencacci, psichiatra, past Presidente della Società Italiana di Psichiatria e co-presidente della Società Italiana di Neuropsicofarmacologia -. Questo nuovo report mi fa pensare che forse le nuove generazioni stanno imparando a cavalcare l’onda dell’incertezza, stanno trovando una strada per non subire passivamente la realtà e riescono a trovare risorse, e nuove strategie efficaci, per far fronte a un ambiente instabile. Quello che abbiamo visto come società, in questi ultimi anni, in cui abbiamo vissuto una diversa combinazione di tanti eventi avversi contemporaneamente, ci ha reso incerti sul nostro modello di futuro, e questo i più giovani l’hanno respirato e subito. Ma ora si sono adattati e mostrano di trovare soluzioni e nuove strategie, e lo fanno meglio di noi adulti, anche se il contesto rimane difficile. La nostra innata plasticità ci apre verso nuove modalità esplorative e di apprendimento che ci consentono di trovare nuove soluzioni, che rispondono alle esigenze di questi tempi complessi. Per farlo, però, dobbiamo avere fiducia nella nostra capacità di sapere che le evoluzioni possiamo gestirle. Dobbiamo anche avere un pensiero “più lungo” verso il futuro e sostenere i giovani ad accettare che i cambiamenti a cui siamo sottoposti, talvolta repentini e “violenti”, possono diventare nuove forme di esplorazione e generare soluzioni innovative e creative».

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Articolo di Chiara Bidoli