Dal punto di vista clinico, la depressione cosiddetta “resistente” ha un peso molto rilevante, perché coinvolge un numero elevato di persone e presenta degli ingenti costi diretti (sanitari) e indiretti, sulla vita delle persone e dei loro familiari.
Un’adeguata diagnosi e l’esclusione di un’eventuale pseudoresistenza sono fondamentali punti di partenza per la gestione di questa condizione. In seguito è possibile adottare una serie di strategie progressive che riguardano: il cambiamento e adattamenti della terapia antidepressiva, l’aggiunta di altri farmaci come stabilizzanti dell’umore, l’ormone tiroideo, alcuni antipsicotici di seconda generazione, per poi passare, se non si ottengono ancora risultati soddisfacenti, a stimolazione cerebrale e terapia elettroconvulsivante, questi ultimi molto poco utilizzati per diversi motivi. A questo si stanno aggiungendo terapie di nuova concezione, ma non bisogna dimenticare altre forme di intervento non farmacologico come la psicoterapia, l’attività fisica, l’attenzione per lo stile di vita. In pratica l’aspetto fondamentale è che il trattamento e la gestione vanno personalizzati e adattati al singolo caso quanto più possibile.
Questo argomento è stato trattato dal dott. Cerveri in una relazione nell’ambito del Congresso della Società Italiana di Neuropsicofarmacologia (Sinpf), tenutosi a Milano a fine gennaio. Il video e l’articolo sono stati pubblicati M.D. Digital.