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Ecco come il clima sta infuenzando (in peggio) la salute mentale

Lo psichiatra: «Il femminicidio di Barbara Capovani e che cos’è cambiato in 45 anni di legge Basaglia» L’uccisione, per mano di un ex-paziente, di Barbara Capovani, ha riacceso l’attenzione sull’assistenza psichiatrica nel nostro Paese. C’è chi parla di rivedere la legge Basaglia, che proprio il 13 maggio compie 45 anni. Lo psichiatra Claudio Mencacci ci aiuta a fare chiarezza

Fiaccole accese, stasera mercoledì 3 maggio dalle 20 in tante piazze italiane, per ricordare Barbara Capovani, la psichiatra di Pisa uccisa da un suo ex-paziente. Un soggetto “gravemente problematico” a lei affidato dalla Magistratura che, all’uscita dal lavoro, l’ha aggredita con una violenza imprevedibile. A 45 anni esatti dall’approvazione della legge Basaglia, il 13 maggio 1978, le Società professionali e scientifiche manifestano. «Non perché la legge venga riscritta ma perché sia riscritta la narrazione dell’assistenza psichiatrica nella nostra società», spiega Claudio Mencacci, Medico psichiatra, Presidente della Società Italiana di Neuropsicofarmacologia.

«È necessario», continua Mencacci, «perché è cambiata la società ed è sbagliato sovrapporre scene da Qualcuno volò sul nido del cuculo all’attualità. Nel ’78 erano in gioco i diritti civili delle persone. Oggi ci troviamo di fronte a casi di persone violente, e non le chiamo volutamente pazienti, scaricate sui servizi del territorio». In altre parole, persone che hanno commesso un reato e che «sono passate nelle maglie, troppo larghe, del vizio parziale di mente». Così, non si aprono per loro le porte del carcere ma quelle di psichiatri e terapeuti: professionisti della cura, non della custodia.

Professionisti travolti da richieste di controllo sociale che non possono riguardare loro. E la cui incolumità, come mostra la cronaca, è messa a rischio. «Si deve parlare anche di violenza di genere», continua il professor Mencacci. «Le operatrici sono le prime vittime proprio in quanto donne, perché la loro autorità non viene riconosciuta dai soggetti che assistono».

(Video RAI TGR – Lombardia / Servizio di Lorenzo Bertolucci)

Se non ne parla Mencacci, pure di modifica della legge Basaglia qualcuno ha in effetti parlato. La famosa legge 180, chiudendo i maniconi, negava l’equivalenza malattia mentale-pericolosità sociale. Fu una rivoluzione culturale, studiate ed emulata nel mondo. È stato invece con la legge 81 del 2014 che sono stati chiusi gli Ospedali psichiatrici giudiziari (gli Opg, che l’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano aveva definito “estremo orrore”e che erano controllati dal Ministero di Grazia e Giustizia e non da quello della Sanità come i manicomi civili).

Da allora ogni regione deve impegnarsi a prendersi carico dei propri pazienti psichiatrico-forensi. È così è iniziata la corsa alla costruzione delle Rems (Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza) strutture sanitarie residenziali con non più di 20 posti letto e punto d’arrivo ideale di un’assistenza diffusa e umanizzata. In realtà, strutture costruite con le fisiologiche differenze regionali, con disponibilità non adeguate e non adatte per tutti. Gli autori di reato, spiegano dalla Società Italiana di Psichiatria, possono così rimanere “liberi” per mesi in attesa del posto in Rems. E vengono, nel contempo, affidati alla “vigilanza” di strutture sanitarie – come i Centri di Salute Mentale – che non hanno capacità di controllo della violenza e sono esposti costantemente al rischio. Sono centinaia le segnalazioni di fatti violenti ogni giorno, ma migliaia sono quelli non denunciati. Palese è l’impossibilità di intervento e di risposta anche da parte degli organi addetti, e cioè magistratura, polizia e carabinieri.

Dalla legge di riforma degli OPG non esistono ancora, poi, Servizi e percorsi terapeutico-riabilitativi differenziati in grado di garantire cura ma anche rispetto delle pene che derivano dal riconoscimento di reati particolarmente gravi compiuti da soggetti violenti. «Succede così che persone violente siano seguite negli stessi circuiti che lavorano con l’adolescente impulsivo o l’anziano con depressione involutiva», continua Mencacci. «Guai a tornare indietro, dunque, ma serve un adeguamento delle leggi che consenta una migliore gestione di questi individui che, ripeto, non è affatto detto che siano malati». La questione è cambiare la normativa per le persone con disturbi mentali (psicotico antisociali) che commettono reati e che, sempre di più dopo la chiusura degli Opg, diventano non imputabili. Una soluzione può essere l’apertura in alcune carceri di sezioni specializzate. Lo prevede l’appello che rivolgono 91 direttori dei Dipartimenti Salute Mentale in una lettera aperta rivolta tra gli altri al presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Ma la stessa Capovani da qualche settimana si era fatta promotrice di un progetto per «istituire un laboratorio permanente per l’analisi delle criticità dell’attuale sistema di gestione dei soggetti psichiatrici non imputabili, del sistema carcerario, delle strutture ospedaliere e delle Rems». È Mencacci a non perdere l’occasione di ribadirlo: se c’è poi un’arma nelle mani dei terapeuti è la prevenzione. Prevenzione nelle scuole, un servizio psicologico a disposizione delle donne nel post parto e una Agenzia Nazionale per la Salute Mentale, che coordini le attività indispensabili per far fronte ai bisogni di salute mentale del Paese, aiuterebbero a ridurre la platea dei soggetti bisognosi di un’assistenza psichiatrica.

(Articolo uscito su Io Donna il 3 maggio 2023)