Benvenuti in SINPF. Per richiedere informazioni contattaci:
+39 (06) 876 781 54
segreteriasinpf@morecomunicazione.it

Psicosi paranoide da fine del mondo: che cos'è e come si interviene

Un disturbo mentale raro, con deliri e allucinazioni. Difficile prendere in carico i pazienti perché non si fidano e credono di essere vittime di macchinazioni: da qui le reazioni anche violente.

Nel loro mondo c’è qualcosa o qualcuno che li perseguita, li minaccia e li costringe a difendersi o a scappare via. Tutto sembra dannatamente reale: gli sguardi, le voci, il pericolo. Così la tensione inizia a salire, il cuore batte all’impazzata e si ha la netta convinzione che l’unica strada possibile sia la fuga, immediata e violenta. A ogni costo. E’ questo terremoto, misto di paura e rabbia, che potrebbe essersi scatenato nella mente del 39enne che, lo scorso 18 febbraio, alle 2.30, ha travolto con la sua auto la macchina con a bordo Laura Amato, 54 anni, e Claudia Turconi, 59 anni, alla barriera autostradale Ghisolfa sulla A4 Torino-Milano

Le due donne sarebbero morte a causa di quella che lo psichiatra Raniero Rossetti, a cui è stata affidata la perizia psichiatrica dell’uomo, ha definito psicosi paranoide con crisi da fine del mondo. L’uomo, dunque, non era capace di intendere e volere. “La psicosi paranoide, che una volta chiamavamo semplicemente paranoia, è un disturbo mentale che porta chi ne soffre a perdere il contatto con la realtà e ad agire di conseguenza”, spiega Claudio Mencacci, direttore emerito di Neuroscienze al Fabetebenefratelli di Milano e copresidente della Società Italiana di NeuroPsicoFarmacologia (Sinpf). “In questa condizione i pensieri sono disorganizzati e confusi. All’esterno sembrano senza senso, soprattutto quando sfociano in deliri e allucinazioni, ma per chi ne soffre è tutto reale”, aggiunge.

La prevalenza di questo disturbo mentale è bassa, lo 0,2% della popolazione. “Le manifestazioni possono essere molto varie: si va dalla gelosia che può essere estrema e violenta alla persecuzione, in cui ci si sente minacciati e in cui si ha il bisogno impellente di fuggire travolgendo tutto quello che si incontra sulla propria strada”, evidenzia Mencacci. Non abbiamo i dettagli clinici del 39enne al quale è stata fatta la perizia, ma è evidente che servono ulteriori approfondimenti per capire la sua storia medica e se ci sono fattori scatenanti per la crisi “da fine del mondo”.

“In genere, chi soffre di questo disturbo ha una precedente diagnosi di schizofrenia”, sottolinea Mencacci. “A parte questo legame non sappiamo quali siano le cause precise della psicosi paranoide: probabilmente c’è una componente genetica, che rende il soggetto vulnerabile a manifestare la malattia, specialmente quando sopraggiungono eventi stressanti”, aggiunge. I segni di una psicosi paranoide e del sopraggiungere di una crisi sono piuttosto specifici. “Deliri, caratterizzati da idee e convinzioni del tutto false; preoccupazioni immotivate; manie di persecuzione; confusione mentale; comportamenti poco comprensibili; fino anche ad allucinazioni acustiche e visive”, spiega Mencacci.

La diagnosi del disturbo è clinica e quindi viene fatta da uno psichiatra, al termine di un periodo di tempo significativo in cui si devono manifestare i comportamenti e le esperienze caratteristiche della malattia. Non basta un episodio singolo per delineare un quadro di psicosi paranoide. Per accertare che i sintomi siano legati all’insorgenza di psicosi paranoide, il medico potrebbe richiedere anche esami neurologici e test ematochimici o strumentali-RMN. Tutto però viene complicato dalla difficoltà insita del prendere in cura questi pazienti. “Non è certamente facile far cadere la loro incrollabile certezza di essere al centro di una macchinazione”, spiega Mencacci. “Quindi è difficile riuscire ad avvicinarli a un percorso di cura – continua – almeno fino a quando non si riesce a fare breccia dentro la loro mente e a farli capire che la loro percezione non dipende da alcun fattore esterno, ma da una sofferenza interna”.

Contro questa patologia esistono cure che permettono di controllare i sintomi. “Oltre agli interventi cognitivi per aiutare il paziente a gestire la propria socialità, abbiamo a disposizione farmaci antipsicotici che vanno a sopprimere l’attività del recettore della dopamina e della serotonina: si va da quelli ‘storici’, che agiscono antagonizzando i recettori D2 per la dopamina, come i butirrofenoni. Ci sono farmaci di seconda a terza generazione che si sono rivelati molto utili nella gestione dei sintomi e nel migliorare le capacità relazionali e lavorative”. E’ un percorso lungo e difficile, che dura molti anni. “Ma gli strumenti per aiutare questi pazienti ci sono, bisogna solo poterli e saperli utilizzare nei modi e nei tempi giusti”, conclude l’esperto.

Articolo di Valentina Arcovio uscito su La Repubblica il 22 MAGGIO 2023